In questo Convento di San Pietro di Silki, nei secoli XI-XII, sono stati raccolti un gran numero di atti a carattere amministrativo, relativi, soprattutto, a donazioni e a lasciti di beni a favore di chiese e monasteri, ma anche a permute, compere, spartizioni o litigi. I documenti, che portavano l’indicazione del nome e dei titoli degli autori, dei donatori e delle persone menzionate, venivano redatti nella lingua sarda della regione. Rivelatori dell’importanza patrimoniale del monastero erano particolarmente preziosi perché fornivano la prova dell’autenticità degli atti registrati, e avevano valore giuridico in caso di litigi. Venivano riuniti in un registro chiamato Codike, che prese poi il nome di Condaghe, designazione di origine greca, eredità della dominazione bizantina nell’isola nei secoli precedenti. Custoditi con grandissima cura, in un primo tempo dalle monache del Convento e, più tardi, a partire dal XIII secolo, dai frati francescani dell’Ordine dei Minori osservanti, per evitare che, col passare degli anni, si perdessero o si deteriorassero, venivano ritrascritti. Al di là delle preziose testimonianze sulla vita e sulle risorse del monastero e sulle strutture sociali del tempo, gli atti presentano un grandissimo interesse sul piano linguistico perché manifestano la vitalità della lingua sarda, già in periodo medievale. Verso la metà del XIX secolo, ne diede una buona descrizione il Padre Pistis (1875); pochi anni dopo, ne segnalarono l’esistenza La Marmora e G. Manno. Pubblicato nel 1900 da Giuliano Bonazzi, il Condaghe fu analizzato col più grande interesse da linguisti di grandissima autorità, a cominciare da W. Meyer-Liibke (1902) ed è considerato oggi dagli specialisti di filologia romanza del mondo intero, come uno dei maggiori documenti del volgare sardo e figura fra i più antichi documenti delle lingue romanze. Il Condaghe di S. Pietro di Silki è conservato oggi nella Biblioteca dell’Università di Sassari.